Diventare grandi. Affrontiamo insieme la transizione

Il contributo dei Centri NeMO al Convegno della Fondazione Maddalena Grassi a Milano

“Parlare di diventare grandi quando si vive una grave disabilità è oggi possibile”. È questo il messaggio emerso dal convegno promosso da Fondazione Maddalena Grassi con il patrocinio dei Centri Clinici NeMO. Un tavolo di lavoro che ha visto esperti, operatori sanitari e associazioni interrogarsi su un tema tanto delicato quanto urgente: il passaggio all’età adulta per gli adolescenti con patologie croniche complesse. 

Insieme a Elena Gotti, nurse coach del Centro NeMO Milano, e a Simona Spinoglio, psicologa di Famiglie SMA e psicoterapeuta specializzanda proprio al NeMO, abbiamo portato il nostro contributo al dibattito, con la consapevolezza che ogni passaggio evolutivo vada riconosciuto, accompagnato e reso sostenibile.

“A NeMO abbiamo imparato nel tempo a prenderci cura dei più piccoli e con loro siamo cresciuti racconta ElenaOggi, a distanza di anni, possiamo parlare di crescita, di adolescenza, di futuro. E questo per noi è possibile non solo grazie all’avvento di nuove terapie, ma anche e soprattutto perché abbiamo consolidato percorsi di cura integrati che accompagnano lo sviluppo dei bambini e delle loro famiglie”. Percorsi che hanno visto, nell’ultimo anno, 314 bambini presi in carico solo al NeMO di Milano.

La transizione all’età adulta, o medicina di transizione,è definita dalla Società Americana di Medicina dell’Adolescenza come un “processo pianificato e strutturato, volto a passare da un sistema di cura pediatrico a uno per adulti”. Un passaggio che non è solo sanitario, ma profondamente multidimensionaleperché,oltre agli aspetti clinici, deve necessariamente avere uno sguardo su tutte le dimensioni importanti del diventare grandi: da quella psicologica a quella sociale ed educativa, fino ad abbracciare l’intero progetto di vita della persona.

In questo percorso, i reparti dei Centri NeMO, che vedono la presenza dei bambini con Sma e Distrofie Muscolari, sono pensati con le figure dedicate all’età pediatrica – il neuropsichiatra infantile e il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE) – operare in modo integrato all’interno dell’équipe multidisciplinare, che ha competenze specifiche per questa fascia d’età: la gestione degli aspetti respiratori ne è un esempio. 

In concreto, come si applica la medicina di transizione al Centro NeMO? “Attraverso il lavoro congiunto tra team pediatrico e team dell’adulto, per la stesura e pianificazione di un piano di cura condiviso – continua Elena GottiQuesto strumento ci permette di percorrere insieme le tappe di sviluppo e di crescita dei ragazzi, dal punto di vista clinico, psicologico e sociale. Gli spazi privilegiati sono gli ambulatori multidisciplinari e i day hospital dedicati, riservando il ricovero solo in situazioni di acuzie, post acuzie o per coloro che necessitano di un monitoraggio continuo nel tempo”.  

Uno sguardo esperto che accompagna ma che non limita la necessità di affrontare i cambiamenti e le situazioni nuove: “Diventare grandi – spiega Simona Spinoglio – significa anche vivere il cambiamento, attraversare la frustrazione e la paura dell’incertezza. Come in tutti i percorsi di crescita, anche quello di cura allora implica il relazionarsi con nuove figure adulte». Uno spazio di relazione con nuovi operatori, dunque, che richiede fatica ma che diventa un’opportunità per conoscersi e farsi conoscere, anche attraverso lo sguardo dell’altro: “Cambia tutto se chi ho davanti mi guarda come un bimbo, come un giovane adulto o come adulto. Quello sguardo, che si traduce attraverso il tono della voce, il tocco delle mani o il rispetto della privacy, permette anche alla persona con disabilità di poter vivere la transizione come un rito di passaggio. E ogni rito, lo sappiamo, porta con sé anche una parte di fatica”.   

Ma la transizione non è solo clinica. Serve un territorio che accolga e garantisca la continuità di questo accompagnamento, oltre il reparto. Un modello funzionale pensato per le famiglie, che andrebbe attivato già tra i 12 e 16 anni, come indicano le linee guida internazionali. Anche di questo si è discusso nei lavori del convegno e la presenza delle Associazioni che operano sul territorio milanese ha voluto raccontare la volontà concreta di fare rete, nonostante le difficoltà. Perché diventare grandi, anche con una disabilità grave, oggi è una possibilità reale. E parlarne è una buona notizia.

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