Serena Forteleoni è la terapista occupazionale del NeMO Roma, area adulti ed è presente da quando si sono aperte le porte del Centro, il 15 luglio del 2015. Il lavoro di Serena consiste nel facilitare il percorso verso l’autonomia del paziente, attraverso l’utilizzo di ausili, dispositivi e strategie compensative. Serena è anche la figura di riferimento per la formazione costante dei famigliari e dei caregiver, nell’aiutare loro a gestire serenamente gli ausili prescritti, dopo essere rientrati al domicilio con il proprio caro.
Che cosa significa essere un Terapista Occupazionale al Centro Clinico Nemo?
Il terapista occupazionale gestisce le autonomie della vita quotidiana del paziente. Dove viene meno l’abilità nello svolgere un’azione, il terapista si affianca per individuare le strategie adatte, perché la persona sia autonoma in quella specifica attività.
Entrando nel dettaglio del mio ruolo al Centro Clinico NeMO, oltre agli aspetti legati alle strategie per mantenere autonomia, mi occupo di tutta quella parte che riguarda la valutazione degli ausili che permettono e facilitano la vita del paziente neuromuscolare. Gli ambiti sono molteplici e, solo per citarne alcuni, mi occupo di individuare la più corretta carrozzina per le esigenze specifiche di ciascuno, o il più opportuno ausilio per sollevare il paziente in sicurezza. Mi occupo di valutare il letto più adatto, fino all’analisi e alla scelta degli ausili che possono facilitare la comunicazione, nel caso in cui il progredire della malattia porti a delle limitazioni anche da questo punto di vista. Tutto ciò senza mai dimenticare il vissuto emotivo della persona.
E quando parliamo di emozioni, penso in particolare a come il tema della comunicazione sia molto importante. Comunicare è un’esigenza insita in ciascuno di noi e, ancora di più, lo diventa quando, oltre alla componente relazionale e sociale, dobbiamo comunicare una esigenza, trasferendo agli altri quali sono i nostri bisogni. E quando questo non lo possiamo più fare con la parola, ecco che intervengono gli ausili di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA).
La tua attività si inserisce e si integra all’interno di un team multidisciplinare, cosa significa lavorare in un contesto così particolare, raccontaci.
Al Centro NeMO ogni professionista si relaziona con il paziente e raccoglie le informazioni sulla base della propria area di competenza. La sintesi di tutte queste informazioni ci danno la possibilità di avere un quadro molto dettagliato e a tutto tondo della persona. L’integrazione ci permette di avere una visione completa di tutti i bisogni funzionali, ma anche di arricchire le competenze personali di noi professionisti, che possiamo cogliere aspetti importanti di altri ambiti di intervento, diversi dal nostro. Questo è il grande valore nell’operare in un team multidisciplinare come quello di NeMO.
Lavorare in squadra mi offre la possibilità di individuare gli ausili più indicati per il paziente in quel dato momento della sua storia di malattia. Per esempio, quando diventa necessario cambiare la carrozzina con una più complessa, ma che meglio si adatti alle nuove esigenze del paziente, ci si trova a gestire più aspetti, tra cui quello psicologico. Ecco, lavorare con la psicologa ci aiuta ad entrare in contatto con il paziente attraverso altre strategie, se necessario. Entrare in relazione con i medici ci permette di capire quale sia il problema che sta alla base di tutto il processo di cura e lavorare con gli infermieri e gli operatori socio sanitari ci aiuta a conoscere quali possono essere i bisogni assistenziali della persona senza dimenticare l’interazione con i colleghi fisioterapisti che mi supportano con la valutazione dell’aspetto motorio del paziente.
Inoltre, la mia attività mi permette di offrire un supporto ai colleghi in particolare quando inizia la compromissione nell’area delle abilità di comunicazione, per far capire le esigenze e i bisogni di assistenza: per esempio, segnalare quando il paziente accusa dolore o altre sue necessità di trattamento specifiche.
La mia attività, inoltre, durante il giro visite della mattina facilita l’interazione del paziente con i medici per comunicare loro un bisogno primario, fisiologico. Se il paziente non riesce ad effettuare questo “scambio di informazioni”, infatti, diventa spettatore di quanto si decide per lui. Ecco perché comunicare da parte sua diventa fondamentale, continuando ad essere così parte attiva nel suo percorso di presa in carico
Parlaci del comunicatore a puntamento oculare.
Il comunicatore oculare è un ausilio che offre la possibilità di comunicare a chi ha compromessa sia la funzionalità fonica che quella motoria degli arti superiori. Attraverso l’utilizzo di uno strumento che individua l’occhio e una tastiera a lui collegata, il paziente indirizzando lo sguardo su di una lettera o su di un’icona che indica un particolare tipo di bisogno, attiva un sistema di video scrittura o di lettura del messaggio. Per questo ausilio è fortemente marcata la sua personalizzazione sulla base di tantissimi elementi come, per esempio, la caratteristica dell’occhio, la conformazione del viso, le eventuali patologie dell’occhio ed inoltre dovrà essere tarata con il progredire della malattia. Al Centro Clinico Nemo di Roma, area adulti, prescriviamo circa una decina di dispositivi ogni anno ai pazienti con SLA.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
La cosa che più mi piace del mio lavoro è sentirmi utile in situazioni che all’apparenza possono essere considerate banali, ma che per chi vive l’esperienza di una malattia neuromuscolare appaiono come ostacoli insormontabili.
La gioia negli occhi della persona che si accorge che sei con lei, che hai compreso quali sono le sue esigenze; la soddisfazione che i pazienti dimostrano quando, nonostante il momento difficile della malattia che costringe a non poter essere più indipendenti, si rendono conto di avere delle possibilità e di poter concretamente iniziare un percorso verso l’autonomia. La felicità di vedere la persona che può nuovamente uscire di casa per andare a trovare i figli o i nipoti, o la gioia nel vedere il sollievo negli occhi del paziente per la nuova carrozzina, che permette, ad esempio, di stare seduti più ore, senza problemi. Ecco, queste sono soddisfazioni impagabili.
E per concludere, raccontaci un aneddoto bello che ti porti nel cuore.
Penso alla mia prima paziente, di cui ho un ricordo bellissimo. Per farle utilizzare la ventilazione meccanica, che in alcun modo riusciva ad accettare a causa della terribile ansia ed angoscia che provava nell’effettuarla, ho sperimentato una modalità creativa, che incontrava la sua sensibilità. Poiché le piaceva dipingere e, da sempre, trovava nella pittura una modalità per esprimere se stessa, nonostante avesse poca mobilità agli arti, ci siamo messe al tavolino della sua stanza in reparto. Abbiamo coperto la NIV (la ventilazione meccanica) ed i suoi tubi e ci siamo messe a dipingere con le mani. Lei ha passato un paio di ore dipingendo, totalmente imbrattata di colore, dimenticandosi della NIV. Tutto questo per la felicità della caposala di allora, che si è trovata la camera di mille colori! Ma la soddisfazione e la gioia è stata di tutti!