Il presidente di NeMO, Alberto Fontana, interviene al Congresso Nazionale UNEBA, dal titolo “Assistenza domiciliare, a che punto siamo?” – Milano 14/15 Giugno 2018.
Affrontare il tema dell’assistenza socio-sanitaria per le persone che vivono situazioni di disabilità molto complesse, significa necessariamente mettere in campo tutte quelle azioni e strategie per garantire loro la dignità di vivere la malattia, pur nella sua complessità e gravità.
E in questi anni posso dire che di passi verso questa direzione ne sono stati compiuti molti.
Solo nel 2001 i primi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) introducevano il tema della risposta alla natura “estensiva” nell’area delle disabilità più complesse, parlando di “casi di responsività minimale” (14 febbraio 2001). Sedici anni dopo, nel 2017, i Nuovi LEA hanno dato avvio ad una prospettiva del tutto nuova, aprendosi alla responsabilità verso nuove “utenze”, indicate come “persone con patologie non acute che presentano un alto livello di complessità, instabilità clinica, sintomi di difficile controllo e necessità di supporto alle funzioni vitali e/o gravissima disabilità”.
Un quadro decisamente più complesso ed inclusivo, che segna un cambio di paradigma e di prospettiva. Cambiamento non solo dettato dall’aumento della domanda delle persone che vivono in queste “nuove condizioni”, ma frutto anche di una sensibilità maturata dalla società, di cui le Istituzioni ne sono diretta espressione. Di questo ne sono convinto.
Da questa felice congiunzione si sono aperte – e continueranno a crescere – nuove opportunità e strategie per dare concretezza a questi valori: il tempo e le culture, o meglio, le culture nel tempo, si modificano, si adeguano e allo stesso tempo segnano il passo aprendo a nuovi scenari.
Se rileggo la mia storia alla luce di questi cambiamenti, mi ritrovo a pensare come anni fa misurassi il mio futuro con il metro “dell’ineluttabile progredire della malattia”; oggi il mio paradigma di lettura è legato “all’inevitabile progredire della scienza”.
Ma, a partire da questo cambiamento, la sfida che si pone oggi è quella di rispondere alla domanda: “Da cosa è segnata la qualità della mia vita?”. Quasi a dire: “Come riempire di senso il tempo che la scienza ci regala?”
Il percorso per cui abbiamo lottato in questi anni, e per il quale per certi versi ancora oggi lottiamo, è quello delle “prestazioni”, che assicurava una risposta orientata a compensare i bisogni delle persone con disabilità. Quello che però oggi già si intravede all’orizzonte è un nuovo tipo di risposta, fondata sul paradigma dei “sostegni”, che ha come prospettiva quella di pensare a strategie inclusive che concorrano alla piena realizzazione della persona.
E’ in questo contesto nuovo che si colloca l’Assistenza Domiciliare, con il suo complesso sistema di servizi e prestazioni, di sostegni e risposte, all’interno delle quali si pone anche il tema del supporto della tecnologia, per rendere più agevole l’autonomia del vivere e delle relazioni, ma anche più lieve il compito di accudire.
E’ il passare dalla logica della “eliminazione delle barriere architettoniche” ad una più ampia visione di sistema che porti a creare “ambienti fruibili”, che sviluppino interventi e sistemi di controllo ambientale per consentire alla persona disabile di sperimentare l’autonomia nei gesti quotidiani e nel proprio ambiente di vita (es. governare gli elettrodomestici, gestire il posizionamento del letto e della sedia a rotelle). Così come la tecnologia può favorire la possibilità dell’assistenza clinica a distanza e della telemedicina.
Passi importanti e fondamentali che migliorano l’autonomia, ma che non sostituiscono, in molti casi, la necessità di un supporto costante alle funzioni vitali della persona, attraverso la presenza assidua di chi accudisce.
La sfida dell’Assistenza Domiciliare, a mio parere, si dovrà giocare su questo piano, come risultato della condivisione di un progetto tra le Istituzioni, la persona che vive l’esperienza della malattia e i suoi “accudenti familiari”.
Questo perché, se la norma nasce e si fonda sul valore della persona con disabilità, che viene posta al centro di un progetto individuale e famigliare, spesso tale valore rischia di essere tradotto dalle indicazioni operative, che individuano “pacchetti” di risposte dei servizi, modulati per intensità del bisogno .
Accade così che il principio “dell’unitarietà della persona”, di cui si parla spesso e, aggiungo io, della inscindibilità del legame con il suo contesto familiare, si frammenti in mille rivoli a causa di una risposta “sanitaria” – “sociosanitaria” – “sociale”, per la quale ogni volta si individuano condizioni differenti, di natura clinico-funzionale o socio-economica.
Eppure, se siamo chiamati a riempire di senso quel tempo che la scienza ci concede, non possiamo che ripartire dal considerare la persona “portatrice di diritti e di tutele”: la tutela di una vita dignitosa, per chi, suo malgrado, si trova ad affrontarla con fragilità; ma anche la tutela della scelta di chi ha deciso di essere al fianco di questa vita fragile, “consapevolmente accudente”.
Alberto Fontana
Presidente Centro Clinico NeMO