After Nijmegen: L’onda terapeutica nelle Distrofie Miotoniche

Un incontro aperto alla partecipazione dei pazienti con Distrofie Miotoniche online o in presenza

L’appuntamento di sabato 20 aprile al Centro NeMO di Milano con l’approfondimento sugli sviluppi della ricerca e sui trattamenti di cura per le Distrofie Miotoniche ha trasferito tutta l’energia di quella che è stata definita “l’onda terapeutica” per queste patologie. Il team del NeMO Milano, insieme ai clinici della rete dei Centri NeMO, ha condiviso con le tante famiglie presenti e collegate online il fermento che si sta vivendo nella comunità scientifica internazionale, con l’arrivo dei nuovi studi farmacologici e la necessità di raccogliere dati clinici per la costruzione sempre più puntuale e precisa della storia naturale della malattia.

Questi gli obiettivi dell’incontro presentati da Valeria Sansone, direttore clinico-scientifico del NeMO di Milano: condividere questo momento di gioia, con gli aggiornamenti della 14° edizione dell’International Myotonic Dystrophy Consortium Meeting (IDMC-14) di Nijmegen nei Paesi Bassi; presentare la rete dei Centri Clinici NeMO sui territori, quale opportunità di riferimento per gli studi clinici che si stanno avviando; esortare pazienti e famiglie a cavalcare questa onda terapeutica, facendosi pro-attivi nel partecipare agli studi.

La portata innovativa di questo momento di svolta per la malattia è la presenza di aziende farmaceutiche, pronte a cavalcare questa onda della ricerca e dell’innovazione. Diversi, infatti, sono gli studi clinici farmacologici oggi attivi o in fase di attivazione che si propongono di studiare i differenti meccanismi di azione, specifici per la patologia. Ad oggi, gli studi risultano essere di fase 1 o 1/2, ossia studi che valutano la tollerabilità e la sicurezza delle molecole, ma si pongono anche i primi obiettivi esplorativi di efficacia.

Ed è proprio per la necessità di condividere le nuove sfide scientifiche che la 14° edizione dell’International Myotonic Dystrophy Consortium Meeting ha avuto come focus la ricerca di base. Con l’arrivo di possibili terapie farmacologiche per la DM1, infatti, c’è un’attenzione particolare verso i meccanismi molecolari della patologia, ossia verso le alterazioni dello splicing dovute all’effetto del RNA tossico da espansione della tripletta CTG nella DM1 e della tetrapletta CCTG nella DM2. Si stanno studiando non solo le proteine MBNL1 e 2, notoriamente coinvolte, ma anche altri prodotti genici compresi nella cascata del misplicing, al fine di chiarire meglio i meccanismi patogeni ed individuare possibili target terapeutici. Sappiamo però che ad oggi c’è ancora molto da comprendere circa l’andamento della patologia nel tempo, ecco perché è molto importante proseguire anche con gli studi sulla storia naturale della malattia, al fine di poter individuare biomarcatori e misure di outcome che siano validi nel riconoscere eventuali miglioramenti apportati dalle terapie in studio.

Al Congresso IDMC14 la ricerca di base ha occupato uno spazio preponderante. Alice Zanolini, neurologa del Centro Clinico NeMO di Milano ha condiviso alcuni degli studi presentati al congresso, da cui sono emersi spunti interessanti sia per la comprensione dei meccanismi patogenetici della malattia, che per i nuovi target terapeutici.

Un esempio peculiare è lo studio presentato dal gruppo del Baylor College of Medicine (Texas, USA), che ha analizzato la muscolatura liscia del tratto gastroenterico di un modello animale (topo) in cui è stata riprodotta l’assenza delle proteine MBNL1 e 2, come nei pazienti affetti da DM1, e che mostra uno spessore aumentato e una contrattilità alterata. Proseguire gli studi su questo modello consentirà di valutare eventuali target terapeutici per i sintomi gastrointestinali che i pazienti sperimentano quotidianamente.

Ampio, inoltre, l’interesse per la comprensione dei meccanismi molecolari alla base del coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) nella malattia. Un esempio è lo studio presentato dal gruppo dell’Università della Florida (USA) che ha indagato le alterazioni dello splicing tipiche della DM1 nelle diverse popolazioni cellulari del SNC, riscontrando una diversa composizione cellulare in favore delle cellule endoteliali (non neuronali ma di supporto), che potrebbero avere un ruolo nella patogenesi dei disturbi.

Particolare risalto, infine, è stato dato al fenomeno miotonico, finora considerato poco più che un sintomo di malattia – che causa una contrazione prolungata dei muscoli scheletrici e che ha un impatto molto debilitante per i pazienti – ma che è emerso avere un ruolo nella progressione della debolezza muscolare, come si evince dallo studio condotto dal gruppo dell’Università di Rochester. Infatti, studiando un modello animale di DM1 (topo) reso “privo di miotonia”, con il ripristino della funzione del canale del cloro (implicato nella genesi del sintomo), è emerso che la performance motoria dell’animale risulta paragonabile al topo sano e anche la biopsia muscolare mostra alterazioni ridotte.

La dott.ssa Zanolini ha presentato anche i dati relativi all’opinione di un collettivo di 8 neurologi esperti sull’utilizzo del farmaco mexiletina a scopo antimiotonico nelle DM/NDM in Italia, da cui è emerso l’impatto positivo del farmaco sulla qualità di vita sia nei pazienti distrofici che non. Garantire oggi l’accesso alla Mexiletina, il farmaco attualmente approvato – la cui reperibilità è purtroppo divenuta problematico nel 2022 per difficoltà nella produzione – nonché sviluppare nuove molecole che contrastino la miotonia, diventa fondamentale per migliorare la qualità di vita. Ed i passi che insieme si stanno compiendo e si dovranno continuare a fare vanno anche in questa direzione.

Accanto agli studi sui meccanismi patogenetici e all’analisi dei biomarcatori di malattia, continua ad avere sempre più importanza garantire il miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Si pensi ad esempio al tema della salute della donna con DM1, necessario per tracciare le raccomandazioni di cura adeguate o alle cure palliative nella DM1 e DM2 o, ancora, all’importanza e alla necessità di ascoltare e accogliere il punto di vista del paziente e del caregiver, promuovendo un ruolo attivo e partecipato nel percorso di cura. Proprio in questa direzione vanno gli studi che indagano l’impatto della malattia sulla quotidianità e quelli orientati alla costruzione della storia naturale di malattia, presentati dal team del NeMO di Milano al congresso internazionale.

La valutazione dei cambiamenti percepiti del carico di malattia nel tempo è stata raccolta con il questionario Myotonic Dystrophy Health Index (MDHI) e presentata da Carola Ferrari Aggradi, specializzanda di Neurologia all’Università degli Studi di Milano e in tirocinio al Centro NeMO di Milano. Lo strumento valuta l’impatto della patologia sulla qualità di vita della persona, nei suoi molteplici aspetti: fisico, psicologico, socio-relazionale e cognitivo. Ed i dati raccolti su un campione di oltre 200 pazienti fanno emergere come, di fatto, la percezione del carico di malattia non si modifichi in un periodo di tempo configurabile in due anni, in linea con la lenta progressione della patologia stessa. Tuttavia, è rilevante come negli studi di fase 1 in corso la percezione della MIOTONIA e della FATICA sembra migliorare con le terapie. Il dato suggerisce come questa scala di valutazione possa fornire elementi utili per cogliere il cambiamento percepito dal paziente a seguito di un trattamento. Quest’ultima dimensione, infatti, rappresenta un dato molto importante per gli Enti regolatori, in quanto la voce del paziente, considerato il primo esperto nel vivere la malattia e la cura, è posta sempre al centro.

I dati raccolti sono espressione di una rete internazionale coordinata dalla Virginia Commonwealth University (dr Johnson) e da University of Rochester Medical Center, NY (dr Thornton), che permette di leggere e confrontare ciò che viene raccolto secondo le modalità richieste dagli Enti regolatori e secondo il regolamento GDPR. La rete mondiale di 16 centri esperti vede il Centro NeMO come unico centro italiano.

La voce dei pazienti e dei loro famigliari emerge anche dai dati raccolti dal team del servizio di psicologia del NeMO Milano, presentati al congresso internazionale da Susanna Pozzi, di cui Jacopo Casiraghi, responsabile del servizio, si è fatto portavoce nell’incontro con i pazienti. I dati raccolti dal CCMD-HI – strumento che valuta l’impatto psicologico, cognitivo, socio-relazionale e fisico della malattia sulla qualità di vita dei bambini con Distrofia Miotonica – permette non solo di cogliere i cambiamenti percepiti dai genitori, ma consente in concreto di definire il piano riabilitativo individualizzato, calato sui bisogni specifici di ciascuna famiglia. A questo si unisce la preziosa opportunità di leggere i dati per definire nuovi trial clinici. Non solo, gli aspetti cognitivi e comportamentali sono uno degli indicatori di studio nel gruppo internazionale di esperti sulla DM1 che ha tra i suoi obiettivi la definizione di un protocollo condiviso di valutazione cognitivo-comportamentale specifico per la patologia e che permetterà di definire interventi riabilitativi mirati, alla luce dei cambiamenti che emergono nel tempo.    

L’importanza della storia naturale di malattia è stata presentata da Maribel Evoli e Michela Nani, rispettivamente biologa e study nurse, entrambe clinical study coordinator del Clinical Research Center del NeMO di Milano. Con lo studio osservazionale END-DM1 emerge in tutta la sua importanza l’essere parte di una rete internazionale che permette la raccolta e condivisione standardizzata dei dati clinici sulla storia della malattia. Parliamo di 16 centri in tutto il mondo, di cui il NeMO Milano è l’unico centro italiano. I dati preliminari raccolti sono preziosi per personalizzare i criteri di inclusione nei trial clinici, leggere ed interpretare con maggiore consapevolezza i valori di sicurezza raccolti negli studi e distinguere in modo sempre più preciso i risultati clinicamente significativi. Parliamo di una rete che conta negli Stati Uniti 9 Università ed un Centro clinico; nella Nuova Zelanda coinvolge l’Università di Auckland e in Europa sono coinvolti l’University College London, l’Institut de Myologie, la Radboud University; il Ludwig Maximillian University ed il Centro Clinico NeMO come unico riferimento italiano.

La ricerca in ambito pediatrico sui nuovi farmaci sta iniziando ora il suo sviluppo, con tempi più dilatati rispetto agli studi con gli adulti, perché ancora vanno definite le misure di outcome, cioè le dimensioni che devo essere misurate, alla luce del quadro clinico dominato dagli aspetti cognitivi e comportamentali piuttosto che dal quadro neuromotorio. Per questo è ancora più importante, in questo momento storico, partecipare alla raccolta di dati e informazioni per definire in modo molto corretto e preciso la storia naturale di malattia. Conoscere gli indicatori di misurazione dell’evoluzione della malattia significa farsi trovare pronti ad accogliere l’onda terapeutica che presto arriverà anche per i bambini.

Con questa finalità Emilio Albamonte, neuropsichiatra infantile del NeMO Milano, ha presentato gli studi osservazionali in corso, che vedono i Centri NeMO coinvolti e che hanno l’obiettivo di definire le caratteristiche cliniche della malattia.

Parliamo dello studio GUP 19002, finanziato da Fondazione Telethon e che vede i Centri NeMO all’interno di una rete di 9 centri italiani per studiare le caratteristiche della distrofia dei bambini ad esordio congenito o ad esordio infantile. Il dato comune, purtroppo, è il ritardo della diagnosi, definita dalle famiglie una vera e propria “odissea”, con un impatto importante sulla vita, sull’organizzazione famigliare e sulla gestione della presa in carico clinica. Dei 154 pazienti coinvolti, il 78% è legato alla forma congenita della malattia ed il 22% alla forma ad esordio infantile. Nelle forme congenite, il 64% delle diagnosi viene confermata solo alla nascita dei bambini, con un impatto devastante per le famiglie, che si devono ristrutturare per affrontare la malattia. Non solo, i dati confermano un esordio dei sintomi più rapido nella forma congenita, con complicanze prenatali e perinatali più gravi e tappe di sviluppo raggiunte con molta fatica rispetto alla forma infantile, anche se nel tempo si arriva ad una compensazione e ad un’equiparazione delle due forme. Nella crescita, infatti, si assiste ad un miglioramento del quadro clinico anche nelle forme congenite, anche se alla diagnosi sembravano essere molto aggressive. In questo senso, la raccolta longitudinale del dato, anche attraverso dati clinici, come la biopsia muscolare, aiuta a capire cosa aspettarsi nel lungo periodo.

Un secondo studio presentato è Harmony – GUP 23002, nel quale è coinvolta tutta la rete dei Centri NeMO per la condivisione e standardizzazione di protocolli per le valutazioni di tipo clinico nel tempo, dal punto di vista motorio, respiratorio, relazionale e cognitivo.

Un terzo studio, che vede coinvolti i Centri NeMO insieme ad alcuni centri parte della rete internazionale DM-CRTN, è Aspire. Questo studio ha l’obiettivo di definire le scale funzionali efficaci per identificare eventuali miglioramenti con le terapie farmacologiche. Infine, abbiamo mostrato la prima esperienza con un trial farmacologico, di fase 2/3, che coinvolge anche la popolazione pediatrica. Si tratta dello studio Amo02 che utilizza una molecola con un’azione sul metabolismo del muscolo. Al momento la molecola sembra avere un buon profilo di sicurezza e si stanno valutando le misure di efficacia.

Il viaggio nella ricerca e nella conoscenza della malattia ha permesso di iniziare a comprendere la complessità e la bellezza di questa onda che ci sta attraversando e che ci invita a nuove sfide. La risposta è nella presenza e nella forza di una rete come quella dei Centri NeMO, capace di affrontare insieme le stesse sfide.

Presenti ai lavori del seminario anche i clinici dei Centri NeMO di: Ancona – Michela Coccia, Direttore Clinico e Emanuele Costantini, Neurologo, Arenzano – Fabrizio Rao, Direttore Clinico e Martina Buscema, Medico Chirurgo; Brescia – Barbara Risi, Neurologo; Napoli – Salvatore Dongiovanni, Direttore Clinico, Valentina Andreozzi, Neurologa e Fiorinda Gargiulo, Fisiatra; Roma – Marika Pane, Direttore Clinico e Laura Antonaci, Neuropsichiatra Infantile – insieme al team di Gabriella Silvestri, Neurologia del Policlinico Gemelli e Trento – Riccardo Zuccarino, Direttore Clinico, Andrea Barp, Neurologo, Salvatore Stano, Neurologo. Insieme per confermare ciascuno il proprio esserci nell’accogliere le richieste di partecipazione agli studi clinici.   

Tanti gli obiettivi dei ricercatori e molto chiare le aspettative delle famiglie. Dal punto di vista scientifico, nei prossimi anni avremo un aumento esponenziale delle sperimentazioni, accanto ad una consapevolezza sempre più approfondita delle caratteristiche cliniche della malattia e dell’importanza degli standard di cura. E per rispondere a questa complessità, la gestione della ricerca sarà sempre più strutturata, attraverso l’uso di piattaforme dedicate per i trial clinici, l’investimento in programmi di riabilitazione sempre più mirati, una maggiore consapevolezza della tecnologia per validare modelli e misure, a cui si unisce l’opportunità dell’intelligenza artificiale per arrivare a trattamenti sempre più personalizzati.   

Dunque, un’onda ricca di obiettivi e sfide entusiasmanti per i quali è fondamentale e prioritaria la partecipazione attiva di ciascuno, al fianco dei ricercatori e dei clinici. In questo momento storico siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo prezioso per affrontare insieme le opportunità che oggi la ricerca scientifica e l’esperienza clinica sulla malattia ci offrono. Solo con la condivisione delle reciproche aspettative ed esperienze possiamo imparare a cavalcare questa onda, con competenza, passione e amore. Quell’amore, come diceva Pablo Neruda, che è “come un’onda alta sopra le onde, mentre la vita ci incalza”.  

Per tutti gli approfondimenti e le richieste su come partecipare agli studi clinici, vi invitiamo a compilare il form presente in QUESTA pagina.

 

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