Dai dipendenti ai volti noti: l’importanza dei testimonial nelle collaborazioni tra profit e no profit

Da diversi anni ormai le aziende non possono più contare sui sistemi di comunicazione tradizionali e hanno sempre più bisogno di far conoscere il proprio brand attraverso metodi nuovi e coinvolgenti. 

Oltre alla pubblicità outbound, al digital marketing più evoluto e alla comunicazione in senso stretto, infatti, le aziende hanno bisogno di un volto umano e parlante in cui le persone possano riconoscersi. Un discorso di questo tipo vale a maggior ragione nelle collaborazioni tra imprese e no profit, dove il sostegno di cause benefiche va di pari passo con l’intento di veicolare un messaggio positivo per il proprio brand attraverso persone in carne e ossa. E chi meglio di un volto noto della comunicazione mainstream è in grado di portare a termine tale missione, amplificando il messaggio dell’ente con la propria eco mediatica?

 

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Per questo motivo sono state pensate le figure dei testimonial, persone che si fanno carico di raccontare un messaggio aziendale in un modo tanto semplice quanto vincente: mettendoci la faccia. Ma chi sono queste figure? E da cosa differiscono, per esempio, da professioni simili quali il brand ambassador o il brand advocate? Vediamolo in dettaglio.

Brand ambassador, hostess promozionale, promoter: chi sono?

Si tratta di una figura professionale che sta diventando sempre più popolare in quanto si tratta di una sorta di “portavoce” abile nell’avere un contatto diretto con i potenziali clienti, condividendo feedback ed esperienze. Dal punto di vista professionale, il “brand ambassador” è altamente preparato e ha un’ottima conoscenza del settore e del prodotto che rappresenta, doti grazie alle quali riesce a rispondere in modo immediato ed esaustivo a qualsiasi domanda gli venga posta. A lui afferisce la figura dell’”hostess promozionale”, il cui ruolo è quello di rappresentare il brand in particolari occasioni basando il risultato della promo sulla sua presenza fisica. Potremmo dire che quella del “brand ambassador” è una versione evoluta del “promoter”: non solo incarna i valori del brand ma li diffonde anche su tutti i suoi canali comunicativi. Il suo lavoro è molto più efficace di una qualsiasi campagna pubblicitaria, anche perché solitamente si tratta di una persona che ha una forte propensione ai rapporti sociali, con ottime capacità comunicative, buona creatività e un profilo personale molto forte, in grado di coinvolgere e divertire il proprio interlocutore, anche grazie all’entusiasmo che mette nel lavoro.

E il testimonial?

testimonial

Nel proficuo rapporto di collaborazione tra imprese e no profit, la figura del testimonial è rappresentata da colui che esprime un punto di vista sul prodotto o servizio esterno al brand stesso. Si tratta quindi di una figura terza che, tuttavia, decide di sposare una causa e, tramite le sue doti di comunicatore, di veicolare un messaggio, che viene così diramato nella sua vasta rete di supporter e fan. In molti lo confondono con il “brand advocate” che, tuttavia, non è un professionista assunto dall’azienda ma un cliente così soddisfatto dal prodotto che ha acquistato che, in modo del tutto autonomo, ne diventa promotore, offrendo un ottimo servizio per la brand reputation del marchio. Questa figura è nata con i social network che hanno reso la comunicazione orizzontale e hanno favorito lo scambio di informazioni e di relazioni tra utenti: il “brand advocate” ha un rapporto attivo col marchio, lo conosce bene perché lo ha acquistato e poi usato e per questo, vista anche la sua popolarità nelle community, riesce a essere molto convincente.

Ma è bene fare attenzione. Per testimonial non si intendono solo ed esclusivamente persone famose del mondo dello spettacolo: in tempi recenti si è infatti fatta strada la figura del dipendente che, per scelta aziendale, è diventato un volto noto usato per rappresentare l’azienda in spot e comunicazioni verso l’esterno. E la spiegazione a tale fenomeno è molto semplice: «Se quello che si comunica corrisponde alla realtà – ha detto Maria Carmela Ostillio, professoressa di Marketing della Sda Bocconi, in un’intervista a Business People – l’artigiano o l’impiegato della banca possono invogliare in uno spot i telespettatori ad aspirare a essere come loro, a far parte di quel mondo che funziona così bene. E, dunque, a credere in quel marchio».

Gli esempi vincenti

Nella storia delle collaborazioni tra imprese e no profit, gli esempi di utilizzo della figura dei testimonial si sprecano. Una campagna che ha dato i suoi migliori frutti è, tuttavia, quella di #unaparolapernemo del Centro Clinico NeMO: un modo per avvicinare gli utenti a una causa, quella di donare la propria voce ai malati cui la Sla l’ha tolta, attraverso il sostegno di alcune star del mondo dello spettacolo. Alla promozione della campagna hanno prestato il proprio volto – e la propria voce, ovviamente – alcuni importanti personaggi che sono così diventati testimonial del Centro Clinico NeMO e della sua missione per i malati di Sla. Tra questi, la comica Luciana Littizzetto, la conduttrice Simona Ventura, il cantante Eros Ramazzotti e l’attore Enzo Iacchetti, tutti presenti in video per aiutare i pazienti del Centro.

 

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