Nel migliore dei casi, le cose vanno più o meno così: un’azienda pensa e organizza un progetto di marketing territoriale, ne sponsorizza il contenuto, realizza uno o più eventi e l’iniziativa si rivela essere un successo.
Casualità? Noi non lo crediamo: in questi frangenti, infatti, i motivi che portano ad avere una risposta positiva da parte di persone che hanno preso parte al progetto (e molte delle quali diventano clienti di un’azienda proprio a seguito della partecipazione) sono molteplici.
I motivi del successo
Da una parte c’è il carico emozionale legato al tema dell’aggregazione sul territorio: le persone passano del tempo assieme, nella maggior parte dei casi senza annoiarsi ma impegnandosi in attività utili e su più livelli redditizie, che vanno a beneficio di una causa che sta loro a cuore. D’altra parte, c’è la percezione che un’azienda di piccole, medie o grandi dimensioni si interessi a una necessità a loro vicina, accorciando così le distanze tra quelli che da sempre vengono considerati i colletti bianchi della società e le necessità (ma anche le risorse) delle comunità locali.
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Risultati, questi, che sono spesso raggiunti tramite la collaborazione con un Ente del Terzo Settore che, grazie alla sua assidua presenza sul territorio e alla sua conoscenza del tema del marketing, si pone come interlocutore privilegiato tra le due realtà in questione.
Dal reale al virtuale
E fin qui è tutto chiaro. Ma una volta raggiunto il traguardo, come si fa a tradurre il feedback positivo degli utenti in un successo a lunga durata? O, meglio ancora, come riuscire a trasformare la comunità territoriale di persone che ha preso parte a un evento one shot in una community virtuale, portatrice di valori anche in rete, dove tempi e spazi assumono tutta un’altra forma? La risposta non è così scontata e necessita di grande impegno da parte dell’azienda per fare in modo che, soprattutto nella piazza virtuale di social e affini, gli utenti si facciano portatori attivi e convinti dei valori di quest’ultima. E, in qualche modo, possano contribuire alla comunicazione dei suoi principi, oltre che dei suoi progetti.
La soluzione è dunque la rete, quel grande mare magnum in cui utenti da tutto il mondo leggono articoli, postano foto, scrivono commenti e aggiungono reaction. Ma, anche qui, è bene non fare confusione. Proprio come succede in un progetto di marketing territoriale, infatti, anche l’utilizzo del mezzo virtuale implica la comprensione a fondo non solo delle logiche dello strumento ma anche delle figure che, proprio grazie alla rete, ricoprono un ruolo importante. Un processo fondamentale per tutte quelle aziende che vogliono farsi conoscere e apprezzare su un altro tipo di terreno di gioco.
Su quali figure puntare
Partiamo dunque dalla community: le brand communities sono state definite nel 2001 da Albert Muniz Jr. e Thomas C. O’Guinn come “communities specializzate, non geograficamente unite, basate su un insieme strutturato di relazioni sociali tra ammiratori di un brand”. Si tratta quindi di un gruppo i cui membri non parlano solo con il brand ma anche e soprattutto fra di loro, scambiandosi notizie di ogni tipo sotto l’egida di un marchio. Uno strumento potentissimo, oltre che un vero e proprio pozzo per le aziende dal quale attingere per ricevere feedback e spunti sempre nuovi.
Ma non finisce qui. Mentre un brand advocate è una persona che, su base assolutamente volontaria, sponsorizza un prodotto o un servizio di un’azienda perché molto soddisfatto dal suo utilizzo, un influencer è un’entità che “ha la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori” proprio perché universalmente riconosciuta come la più influente, carismatica o autorevole rispetto a determinate tematiche o aree di interesse. Ma se credete che influencer può essere solo una persona che posta foto e ha molti follower, vi sbagliate: come chiamereste una no profit che, ponendosi come interlocutore tra le necessità di un determinato pubblico e i servizi forniti da un’impresa, riesce a veicolare ai suoi seguaci i valori di un brand, per esempio collaborandovi? Beh, noi la chiamiamo influencer.
Cosa unisce la comunità territoriale e la community
In generale, tutte queste teorizzazioni fondano le proprie radici su due elementi fondamentali: i valori e il senso di appartenenza. Sia che si tratti di un manipolo di persone che si ritrova in piazza a parlare, sia che si tratti di uno user group che commenta notizie sui social, infatti, è fondamentale che le loro necessità trovino risposte (o anche solo rappresentanza) all’interno delle attività, delle risorse, degli slogan promossi dell’azienda. Solo in questo modo sarà possibile creare quello che più volte nel marketing è stato definito come un “consumattore”, ossia un cliente che con impegno e dedizione si fa portatore dei valori di un brand (che, in fondo, sono anche i suoi).
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