Come coniugare brand reputation, social media management e cause related marketing

È cosa nota: il settore del no profit, come ogni altro settore oggi, sta affrontando una vera e propria trasformazione digitale. E non parliamo “solo” di siti web, blog, email e mobile technolgy: oggi più che mai, infatti, i social network sono parte integrante della comunicazione e della raccolta di fondi nella strategia di un Ente del Terzo Settore. Non è un caso che il 93% delle ONG in tutto il mondo abbia una pagina Facebook, il 77% un profilo Twitter, il 56% una pagina LinkedIn e il 50% un profilo Instagram. Ancora più significativo è il fatto che il 71% delle ONG sostenga che i social media sono efficaci per la raccolta di fondi online e che il 25% dei donatori affermi che i social media sono lo strumento di comunicazione che più li ispira a donare.

Un vero e proprio cambiamento sociale

Questi dati, tratti al Global NGO Technology Report del 2018, dimostrano (se ancora ce ne fosse bisogno) che i social media sono oggi protagonisti di un vero e proprio cambiamento sociale. La ricerca, prodotta dalla piattaforma Nonprofit Tech for Good, è stata infatti effettuata su 5.352 ONG in tutto il mondo, ricavando dati abbastanza ampi e condivisi da potere tracciare un quadro nitido su questo tema: agenti sociali e tecnologia non sono più due entità distinte e antitetiche, quanto, in realtà, due facce della stessa medaglia in grado di generare (virtuoso) valore per entrambe le realtà in gioco.

 

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A questo proposito fece scuola, nel 2014, la ricerca condotta da SurveyMonkey Audience e pubblicata da Mashable, che dimostrò che gli utenti donavano realmente tempo e denaro alle cause civili: in quell’occasione venne provato che su 1000 adulti americani intervistati, tutti utilizzatori di social network come Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest o Google+, ben il 64% donò oltre 100 Dollari a testa nel solo 2013. Risultati interessanti, specie se comparati al reale impegno che gli utenti dichiararono di avere messo fuori dalla piazza digitale: circa il 43% di essi, infatti, disse di aver dedicato più di 10 ore ad una causa caritatevole nell’anno precedente.

Un riflesso positivo per il cause related marketing delle aziende

Un circolo virtuoso, insomma, che può certo giovare anche a chi nel cambiamento sociale è profondamente implicato non solo in qualità di driver di business ma anche per una certa missione filantropica sempre più condivisa in tutto il mondo: parliamo delle aziende e della loro volontà (o necessità) di promuovere, divulgare e realizzare cause benefiche legate ai processi del cause related marketing. A parte l’effetto pubblicità, per cui, secondo la ricerca condotta da SurveyMonkey Audience, il 51% dei 1000 intervistati dichiarò di venire abitualmente a conoscenza delle campagne prima sui social e solo successivamente in tv, secondo il Global NGO Technology Report del 2018 il 95% degli intervistati è d’accordo sul fatto che i social media sono efficaci dal punto di vista della brand awareness.

Canali ed esempi pratici

Per farlo, vengono utilizzate le più disparate tecniche messe a disposizione dal web: su Facebook, per esempio, i video (purché autentici e coinvolgenti) sono il migliore strumento per veicolare un progetto di cause related marketing. Chi di voi non si ricorda l’Ice Bucket Challenge, la campagna virale lanciata dalla ALS Association nel 2014 con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sclerosi laterale amiotrofica e di stimolare le donazioni per la ricerca? Un altro strumento è rappresentato dal mobile e dallo sviluppo di app: come NeMO My Voice, l’applicazione per smartphone e tablet pensata dal Centro Clinico NeMO per registrare e donare una parola alle persone affette da distrofie muscolari e non più in grado di parlare. 

 

 

L’intento è quello di creare una vera e propria banca dati di parole, un “vocabolario” registrato pronto per essere scaricato su un comunicatore vocale che il malato può utilizzare anche solo attraverso il movimento degli occhi.

Anche le campagne a suon di hashtag sono diventate uno strumento potente in grado di influenzare tanto l’opinione pubblica quanto la politica, su Twitter, Facebook e Instagram: è il caso di #noplastic di Greenpeace Italia, esempio di advocacy finalizzato alla firma di una petizione online per chiedere alle aziende di fare la loro parte contro l’inquinamento da plastica nel Mediterraneo, abbandonando l’usa-e-getta.

 

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