4 aziende che hanno migliorato la brand reputation grazie alla social responsibility

Non c’è modo migliore di farsi del bene che facendo del bene. E no, non si tratta di un aforisma banale o di un mero gioco di parole, quanto, piuttosto, di un discorso fondato che vale sia per ogni essere umano sia, soprattutto, per le aziende. Chi, dentro a queste ultime, ricopre il ruolo di CSR manager, sa quanto importante sia puntare sulla collaborazione con enti benefici per raggiungere molteplici obiettivi, interni ed esterni all’azienda.

Insito nella natura umana è il desiderio per i singoli di rendersi utili al prossimo, sia esso rappresentato da una persona, un habitat naturale o un diritto sociale. Un’azienda invece che dedica i propri sforzi a favore di una causa applica quella che nel gergo aziendale viene chiamata social responsibility, un concetto ormai ampiamente radicato nelle imprese internazionali (e sempre più in quelle italiane) che consente alle stesse, attraverso l’adozione di ideali benefici, di produrre un impatto sociale per la collettività migliorando la propria brand reputation.

La Corporate Social Responsibility in Italia: una storia iniziata 30 anni fa

Il primo caso nazionale che va in questa direzione risale al 1987 quando la divisione italiana di Dash, marca di detersivi tra i primi a essere introdotti nel Belpaese, dava vita alla campagna “Mille Lire per un mattone”: un’iniziativa in cui il brand di origini statunitensi abbracciava la causa sociale della realizzazione di un villaggio per ragazzi in Kenya.

 

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Il progetto ebbe grande successo: furono raccolti quasi 3 miliardi di Lire per la costruzione di un’intera cittadella scolastica nel Paese africano.

L’iniziativa funzionò da apripista per tante altre aziende italiane che, sulla scia del trionfo di Dash, decisero di adottare strategie di cause related marketing, una pratica che però solo nell’ultimo decennio ha visto uno sviluppo significativo nel nostro Paese.

Qualche esempio pratico

In questi casi, dunque, la pura velleità filantropica si sposa con un risvolto più strettamente economico: a beneficiare della social responsibility infatti è, tra le altre variabili, l’immagine che l’azienda riesce a dare di sé al mercato, sia nei confronti dei clienti sia con gli altri stakeholder.

Per sapere come funziona questo meccanismo, e dimostrarne la sua validità, qui di seguito abbiamo raccolto quattro esempi di aziende, italiane e non, che negli ultimi 30 anni hanno migliorato la propria brand reputation grazie alla social responsibility.

Dawn per la fauna selvatica

Dawn è uno dei detersivi per piatti più venduti negli Stati Uniti e da oltre 30 anni, attraverso la campagna “Dawn saves wildlife”, sostiene la causa della pulizia, tramite i suoi prodotti, degli animali selvatici sporcati dalle fuoriuscite di petrolio. Tale progetto ha avuto grande risonanza soprattutto a partire dal 2010, anno del disastro ambientale della British Petroleum nel Golfo del Messico.

 

  

I numeri del successo sono presto detti: secondo un rapporto pubblicato nell’aprile 2013, la campagna ha permesso al brand di essere il più apprezzato dai consumatori del gruppo Colgate-Palmolive. Dawn ha così raggiunto un guadagno di 1,2 punti percentuali e ha avuto il più alto ROI nel campo dei prodotti dedicati all’homecare.

Dove e il corpo femminile

La percezione del corpo della donna nella società dell’immagine è un tema di grande rilievo per il tempo in cui viviamo. Dove-Unilever, marca di prodotti per l’igiene personale, ha affrontato il problema nella sua campagna mondiale “Bellezza Autentica”: dal 2004, e in collaborazione con varie associazioni che si occupano della prevenzione e della cura del disagio psicologico legato ai disturbi dell’immagine e del comportamento alimentare, Dove ha promosso una vera e propria campagna per il cambiamento sociale.

E i risultati non sono mancati. Nel 2015 Dove Real Beauty è balzato al primo posto nella classifica AdAge: 100 campagne analizzate nel corso del ventunesimo secolo tra le quali sono state selezionate le migliori 15 da un gruppo di giudici prestigiosi e accreditati a livello internazionale.

Burger King contro il bullismo

La famosa catena di fast food americana ha scelto una vera e propria provocazione per sostenere una causa di social responsibility e, con lei, l’associazione americana No Bully: con Bullying Jr, infatti, l’azienda ha voluto sensibilizzare i suoi clienti sul tema del bullismo. Per farlo, ha deciso di prendere a pugni un panino chiedendo al pubblico: “Faresti qualcosa per un Whopper Jr bullizzato?” e, allo stesso tempo, ha ripreso le reazioni (praticamente nulle) di alcuni suoi avventori di fronte a scene di bullismo.

 

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La campagna, datata 2017, ha avuto grande eco mediatica ed è diventata virale grazie a un video diffuso soprattutto online con i seguenti numeri: su 5.429.888 visualizzazioni totali, il canale ufficiale di Burger King su YouTube ha registrato 40.804 like e 1.705 dislike. In un solo mese, poi, sono stati scritti 2.562 articoli che parlavano di Burger King, meccanismo, questo, che ha dato grande visibilità sia all’azienda sia alla causa da essa sostenuta.

Ferrarelle: responsabilità sociale nel beverage

È dal 2007 che Ferrarelle, leader italiano nelle acque da pasto, ha lanciato, in collaborazione con Unicef, il progetto Acqua che fa del bene: a più riprese sono stati realizzati sistemi idrici e servizi igienici in 44 scuole eritree e del Ciad, con l’obiettivo di arrivare a costruire 150 pozzi per far arrivare l’acqua potabile a oltre 60.000 persone.

Grazie a questa iniziativa Ferrarelle ha accresciuto i volumi di vendita del 3,2%, mentre la frequenza d’acquisto della marca d’acqua è aumentata del 15,8% in un solo anno di attività (quello compreso tra il 2007 e il 2008).

Come si può notare dagli esempi appena elencati, col passare degli anni si assiste a un vero e proprio cambiamento negli usi e nei costumi della società. Va da sé che, con loro, anche i principi abbracciati dalla responsabilità sociale d’impresa sono mutati, ma una cosa è rimasta invariata nel tempo: l’opportunità per le aziende di fare del bene e, con lei, il ritorno di immagine e, perchè no, anche un incremento del fatturato da essa derivato.

 

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